LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                        Sezione prima civile 
 
    Composta dai giudici: 
      Amedeo Santosuosso - Presidente; 
      Raimondo Mesiano - Consigliere rel.; 
      Anna Mantovani - Consigliere; 
    nella causa di impugnativa di nullita' di lodo arbitrale iscritta
al n. 1173/2013  del  ruoto  generale,  promossa  da  AAT  S.p.a.  in
liquidazione  e   concordato   preventivo   (gia'   Aster   Associate
Termoimpianti S.p.a.), codice fiscale n.  00840630156,  con  sede  in
Vimodrone(MI), in persona dei liquidatori  Dott.  Ettore  Agostoni  e
Dott. Giovanni La Croce e del liquidatore giudiziario Dott.ssa  Elena
Quadrio, difesa e rappresentata dagli Avvocati Giuseppe  Visconti  ed
Edoardo Vassallo ed elettivamente domiciliata presso il  loro  studio
in Milano, via Lanzone n. 4 - impugnante; 
    Contro Cooperativa Muratori & Cementisti  -  C.M.C.  di  Ravenna,
codice fiscale n. 00084280395, con sede in Ravenna,  in  persona  del
legale rappresentante, difesa e rappresentata dagli  Avvocati  Andrea
Bernava, Stefano Pascali e Mikaela Valan ed elettivamente domiciliata
presso il loro studio legale Chiomenti in Milano, via Verdi  n.  2  -
resistente; 
    con atto di impugnazione notificato il 3 aprile 2013; 
    Ha  pronunciato  la  presente  ordinanza,  a  scioglimento  della
riserva, di cui alla udienza collegale del 2 maggio 2017; 
 
                               Osserva 
 
1. - Premesso che con lodo arbitrale del  17  -  18  luglio  2012  il
Collegio arbitrale come in atti  composto,  a  seguito  di  arbitrato
rituale intervenuto fra AAT in liquidazione e concordato preventivo e
CMC  di  Ravenna,  accertava  e  dichiarava  la  risoluzione  di   un
importante contratto di subappalto stipulato l'8 novembre 2002 e  per
l'effetto, affermata la sussistenza di opposte ragioni di credito fra
le parti per rilevanti importi e  dichiarata  la  compensazione  fino
alla concorrenza di € 11.717.078,49 fra detti  crediti  contrapposti,
condannava AAT al pagamento in favore di CMC della residua somma di €
113.570,99 oltre interessi e rivalutazione,  compensando  interamente
fra le  parti  le  spese  dell'arbitrato,  della  Ctu  espletata  nel
procedimento arbitrale e quelle di difesa tecnica e legale; 
    che, con impugnazione notificata a controparte in data  3  aprile
2012, AAT, come in atti autorizzata dal Giudice Delegato  procedente,
rappresentata e difesa, proponeva domanda di nullita' del detto  lodo
arbitrale anche per motivi di diritto, ai sensi dell'art. 829 c.p.c.,
come meglio precisata nel foglio di PC in atti; 
    che si costituiva nel presente giudizio innanzi  a  questa  Corte
d'appello di Milano, CMC, come in atti rappresentata  e  difesa,  con
comparsa con cui chiedeva la declaratoria di  inammissibilita'  o  il
rigetto dell'avversaria impugnazione coma da fogli di PC in atti; 
    che all'udienza del 9 febbraio 2016,  la  presente  causa  veniva
rimessa in decisione sulle  predette  conclusioni  delle  parti,  con
l'assegnazione di termini per gli atti difensivi finali; 
    che, con ordinanza depositata il 24 novembre 2016,  questa  Corte
rimetteva la causa sul ruolo per l'udienza del 13 dicembre  2016  per
la  comparizione  delle  parti,   intendendo   suscitate   cosi'   il
contraddittorio   sul    tema    della    possibile    illegittimita'
costituzionale degli art. 829 comma 3 codice procedura civile e della
norma transitoria di  cui  al  comma  4  dell'art.  27,  del  decreto
legislativo n. 40/2006, secondo quanto appresso specificato; 
    che, alla udienza del 13 dicembre 2016 la  Corte  assegnava  alle
parti termine fino al 20 gennaio 2017 per il  deposito  di  eventuali
note sulle predetta  questione  di  legittimita'  costituzionale  con
contestale riserva sulla futura decisione da prendere. 
2. - Che con ordinanza depositata in data 8 marzo 2017, questa  Corte
- rilevato che nella diversa causa Rg 1667/2015, con ordinanza del 30
novembre 2016 e  depositata  il  15  dicembre  2016,  aveva  ritenuto
«rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale, per contrarieta' agli articoli  3  e  41
della Costituzione, della norma di  cui  al  combinato  disposto  dei
seguenti  articoli  di  legge,  per  come  interpretati  dal  diritto
vivente»: 
      - Art. 829 comma 3 codice procedura civile: «l'impugnazione per
violazione  delle  regole  di  diritto  relative  al   merito   della
controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla
legge»; 
      - Norma transitoria di cui al comma 4 dell'art. 27 del  decreto
legislativo n. 40/2006. «4. Le disposizioni degli  articoli  21,  22,
23, 24 e 25 si applicano ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la
domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto»; 
      - Entrambe  interpretate  corna  da  sentenze  della  Corte  di
Cassazione, Sezioni Unite, numeri 9341, 9284  e  9285  del  9  maggio
2016, che hanno composto il contrasto sull'applicazione temporale del
mutato regime di impugnabilita' dei  lodi  arbitrali  per  errori  di
diritto, riconoscendo l'impugnabilita' per errori di  diritto  quando
l'arbitrato sia reso dopo l'entrata in vigore detta novella del 2006,
ma origini da una convenzione arbitrale anteriore alla stessa entrata
in  vigore  della  novella  del  2006,  convenzione  che  nulla  dica
sull'impugnabilita' per errori di diritto; 
    ed  aveva  sollevato  la  relativa  questione   di   legittimita'
costituzionale  rimettendo  gli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
sospeso il giudizio a quo - e ritenuto che nel presente  giudizio  si
ponga identica questione di legittimita',  disponeva  la  sospensione
del presente giudizio (Rg 1173/2016),  in  attesa  della  definizione
della questione di  legittimita'  costituzionale  gia'  rimessa  alla
Corte costituzionale con la citata ordinanza; 
    che, con istanza depositata il 13 aprile 2017, i patrocinatori di
CMC chiedevano la revoca della sospensione della presente causa e  la
pronuncia da parte di questa Corte di analoga ordinanza di rimessione
degli atti di causa alla Corte costituzionale dato che essi,  per  un
verso, intendevano patrocinare e discutete innanzi al  giudice  delle
leggi la questione di legittimita' costituzionale sopra riferita, ma,
per altro verso, la giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  non
ammette l'intervento di terzo nel procedimento di  delibazione  della
legittimita' costituzionale  di  norma  di  legge,  per  l'assorbente
ragione che , se  esso  intervento  fosse  ammesso,  si  avrebbe  una
procedura di delibazione di questione di legittimita'  costituzionale
di norme di legge sostanzialmente aperta a quisque de populo  e  cio'
sarebbe contrario  alla  Costituzione,  che  riserva  l'accesso  alla
giurisdizione  di  legittimita'  costituzionale  alle  parti  di   un
procedimento giurisdizionale; 
    che, in calce a detta istanza, il Presidente  di  questa  Sezione
convocava le parti per l'udienza collegiale del 2 maggio  2017,  alla
quale i Patrocinatori di entrambe chiedevano la rimessione degli atti
alla Corte costituzionale e questa Corte riservava la decisione; 
    Ritenuto che la  predetta  concorde  richiesta  delle  parti  sia
meritevole di accoglimento per dare loro modo di potere discutere  la
questione di legittimita' costituzionale delle stesse identiche norme
e sotto gli stessi profili gia' evidenziati  da  questa  Corte  nella
propria precedente ordinanza del 30 novembre 2016, depositata  il  15
dicembre 2016 nel diverso giudizio Rg 1667/2015, si reputa  opportuno
ripercorrere anche qui  i  termini  della  questione,  facendo  ampio
riferimento a detta precedente ordinanza. 
3. - La questione della riforma e del regime transitorio. 
    Si tratta di argomenti ampiamente noti ma che  si  ritiene  utile
richiamare brevemente a soli fini di chiarezza espositiva. 
3.1. - La normativa anteriforma del 2006. 
    Nel  regime  normativo   previgente   alla   riforma   del   2006
l'impugnazione del lodo per  violazione  di  regole  di  diritto  era
sempre ammessa, salvo che le parti avessero autorizzato gli arbitri a
decidere secondo equita' o avessero espressamente dichiarato il  lodo
non  impugnabile.  L'art.  829  comma   3   letteralmente   recitava:
«L'impugnazione per nullita' e' altresi' ammessa se gli  arbitri  nel
giudicare non hanno osservato le regole  di  diritto,  salvo  che  le
parti li avessero autorizzati a decidere secondo equita'  o  avessero
dichiarato lodo non impugnabile». 
    Stante il tenore letterale della disposizione, il silenzio  delle
parti  assumeva  una  valenza  «positiva»,  ossia  sottintendeva   la
volonta'  delle  parti  che  nell'eventuale  giudizio  d'impugnazione
davanti  al  giudice  ordinario  potessero  essere  fatte  valere  le
violazioni delle regole di diritto. 
    3.2 - Il nuovo regime e la disciplina transitoria 
    L'art. 24 del decreto legislativo n. 40/2006 modifica l'art.  829
comma  3  e  stabilisce  la  regola  inversa,  rendendo   ammissibile
l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di  diritto  solo
se  «espressamente  prevista  dalle  parti  o  dalla  legge».   Nella
disciplina post riforma il silenzio delle parti  assume,  cosi',  una
valenza «negativa», ossia esclude la possibilita'  di  sottoporre  al
vaglio  dell'Autorita'  Giudiziaria  Ordinaria  la  violazione  delle
regole di diritto. 
    Le  inevitabili  questioni  di  diritto  transitorio  sono  state
espressamente  regolate  con   l'art.   27   del   medesimo   decreto
legislativo, che ha espressamente previsto che la nuova disciplina si
applichi  «ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la  domanda   di
arbitrato e' stata proposta successivamente alla data di  entrata  in
vigore  del  presente  decreto».  Tale  regime   transitorio   sembra
valorizzare la relativa autonomia dell'atto di proposizione del  lodo
per una specifica controversia (che viene a essere  regolata  secondo
il nuovo regime) rispetto alla clausola compromissoria,  che,  stante
la sua natura e funzione normativa (tesa  cioe'  a  regolare  vicende
giuridiche successive che vengono a intercorrere tra le parti), resta
ancorata al tempo della sua stipulazione. Di qui  la  valorizzazione,
ai fini dell'applicazione della  nuova  disciplina,  del  momento  di
proposizione della domanda di arbitrato piuttosto che  di  quello  in
cui sia stata stipulata la clausola compromissoria. 
    Tuttavia, ci si e' interrogati su  cosa  ne  sia  della  volonta'
delle parti stipulanti la clausola arbitrale e, soprattutto, su quali
siano i limiti  che  il  legislatore  incontra  nell'intervenire  sul
contenuto di  quella  clausola  (attribuendogli  effetti  diversi  da
quello  voluto  dalle  parti)  e  sul  regime  giuridico  degli  atti
conseguenti e ad essa connessi. 
    Tali interrogativi sono stati valorizzati e posti in primo  piano
da un filone giurisprudenziale, da ultimo fatto proprio  dalla  Corte
di Cassazione a Sezioni Unite,  che  ne  ha  tratto  conclusioni  che
paiono problematiche. Di esse  si  discute  in  questa  ordinanza  di
rimessione alla Corte costituzionale, rimessione che a  questa  Corte
d'appello pare, a questo punto, essere l'unica via non preclusa (come
meglio si dira' piu' avanti). 
    3.3 - Criteri e  i  principi  direttivi  della  legge  delega  n.
80/2005 e la ratio della riforma. 
    Con   nuovo   regime   il   Legislatore   delegante   ha   inteso
razionalizzare  l'intera  disciplina  delle  impugnazioni   di   lodi
arbitrali con l'obiettivo,  in  particolare,  di  restringere  l'area
delle   censure    deducibili    contro    lodo.    L'impulso    alla
razionalizzazione e' richiamato  nel  testo  della  legge  Delega  n.
80/2005, ove, nell'indicazione dei principi e dei criteri  direttivi,
Legislatore Delegato viene chiamato a operare «una  razionalizzazione
delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione per nullita'  [ai
fine di] subordinare  la  controllabilita'  del  lodo  ai  sensi  del
secondo comma [ora terzo, ndr] dell'art. 829 del codice di  procedura
civile  alla  esplicita  previsione  delle   parti,   salvo   diversa
previsione di legge e salvo contrasto  con  i  principi  fondamentali
dell'ordinamento giuridico». 
    Il Legislatore, dunque, si e' misurato con due diverse  esigenze,
che sono esplicite nei lavori preparatori: in primo luogo, vi era  la
necessita' di limitare sindacato sulla pronuncia degli arbitri, anche
al fine di non ostacolare  la  speditezza  propria  del  procedimento
arbitrale; in secondo luogo,  era  necessario  assicurare  una  piena
tutela alla garanzia costituzionale del sindacato di legittimita'  da
parte dell'autorita' giudiziaria. Il punto di equilibrio  tra  queste
contrapposte   esigenze   e'   stato   individuato   nel    principio
dell'autonomia delle parti: in  altri  termini,  l'ampiezza  sia  del
sindacato dell'autorita' giudiziaria ordinaria, sia dell'alveo  delle
censure deducibili contro  il  lodo  sono  interamente  rimessi  alla
scelta discrezionale delle parti. 
    Del resto, tale  scelta  trova  fondamento  nella  natura  stessa
dell'istituto dell'arbitrato, che  si  caratterizza  per  essere  uno
strumento di risoluzione alternativa delle controversie,  fondato  su
un atto negoziale, ossia la convenzione d'arbitrato. La previsione di
tale istituto nel nostro ordinamento rappresenta, infatti, un esempio
di «privatizzazione della giustizia», ove l'autonomia privata  assume
un ruolo  predominante  rispetto  alla  legge  e  all'amministrazione
pubblica della giustizia, seppur  sempre  conformemente  ai  principi
fondamentali dell'ordinamento giuridico. 
4. - Le elaborazioni giurisprudenziali sul punto 
    La   nuova   disciplina,   ha   suscitato   alcune   oscillazioni
interpretative  nella  giurisprudenza  tanto  di  merito  quanto   di
legittimita', specie con  riferimento  all'applicabilita'  del  nuovo
regime ai procedimenti arbitrali promossi dopo  l'entrata  in  vigore
del  decreto  legislativo  n.  40/2006,  ma  fondati  su  convenzioni
d'arbitrato stipulate  dalle  parti  in  un  momento  antecedente  la
riforma. 
    4.1 La giurisprudenza di legittimita'. 
    La  Corte  di  cassazione  ha,  in  alcune   occasioni,   escluso
l'applicazione della  nuova  disciplina  e,  in  altre,  ha  ritenuto
ineludibile il chiaro tenore letterale della norma transitoria  (art.
27 comma 4 cit.), adottando la soluzione opposta. 
    Conformemente al primo  orientamento,  la  sentenza  della  prima
sezione civile (n. 12379/2014), ha ritenuto che ratione temporis  non
potesse applicarsi l'art. 829 comma 3  codice  di  procedura  civile,
nuovo testo, a una fattispecie nella  quale  era  rilevante  la  data
della  convenzione  (che,  sola,  poteva  contenere   previsioni   di
impugnazione per violazione di regole di diritto), e non certo quella
della  impugnazione  di  nullita',  e  ha  affermato:   «si   ritiene
inaccettabile un'applicazione retroattiva  di  un  regime  di  estesa
generale impugnabilita' per ragioni di diritto  a  momenti  negoziali
anteriori alla sua entrata in vigore e nei quali il silenzio  serbato
era diretto a consentire quella impugnazione». 
    Con tale sentenza, la Suprema Corte ha  dato  seguito  all'allora
recente pronuncia della prima sezione civile della medesima Corte (n.
6148  del  19  aprile  2012),  che   aveva   proposto   una   lettura
costituzionalmente orientata della norma transitoria (art. 27 comma 4
cit.). La Corte, prendendo le mosse dal principio di irretroattivita'
della legge sancito dall'art. 11 delle Preleggi, ha ritenuto che  gli
effetti di un  atto  negoziale  siano  sottoposti,  unicamente,  alla
disciplina in vigore al momento in cui ratto sia stato  adottato.  Su
tali   premesse,   la   Suprema   Corte   ha   ritenuto   illegittima
l'applicazione del novellato art. 829 comma  3  codice  di  procedura
civile alle convenzioni  arbitrali  concluse  prima  dell'entrata  in
vigore  della  riforma,  poiche'  in  contrasto  con  i  principi  di
successione delle leggi nel  tempo:  «laddove  le  convenzioni  siano
state concluse prima della entrata in vigore  esse  non  possono  che
continuare a essere regolate dalla legge  previgente,  che  disponeva
l'impugnabilita' del lodo per violazione della legge  sostanziale,  a
meno che le parti non avessero stabilito diversamente. E pertanto, in
difetto di una  disposizione  che  sancisca  la  nullita'  di  quelle
convenzioni (per sopravvenute esigenze di natura  imperativa)  o  che
obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di  tali
convenzioni deve ritenersi insita nel  sistema,  pur  in  difetto  di
un'esplicita previsione della norma  transitoria,  a  pena  di  veder
private le parti contraenti di un contratto  -  realizzante  un  dato
assetto di interessi in ordine alla  devoluzione  per  arbitri  delle
controversie che ne siano derivate - di una facolta' di contestazione
sulla quale l'una o l'altra aveva  fatto  indiscutibile  affidamento»
(Cass. civ. sez. I, 19 aprile 2012, n, 6148; si veda anche Cassazione
civ, sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898; Cassazione  civ.  sez.  I,  19
gennaio 2015, n. 745 e 748; Cassazione civ. sez. I, 28 ottobre  2015,
n. 22007). 
    Cosi' motivando, la Corte di  cassazione  ha  inteso  conformarsi
alla consolidata giurisprudenza della Corte  costituzionale  che,  in
plurime occasioni,  ha  sottolineato  rimportanza  del  principio  di
irretroattivita' della  legge,  in  quanto  «principio  generale  del
nostro  ordinamento  [che]  rappresenta,  pur  sempre,   una   regola
essenziale   del   sistema   a   cui,   salva   un'effettiva    causa
giustificatrice, il legislatore deve  ragionevolmente  attenersi,  in
quanto la certezza dei rapporti  preteriti  costituisce  un  indubbio
cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei  cittadini»
(Corte costituzionale sentenza n. 155 del 1990, a cui  la  Cassazione
rinvia espressamente nella pronuncia del 19 aprile 2012, n. 6148;  in
senso conforme, Corte costituzionale sentenza n. 118 del 1957). 
    Tale orientamento e' stato, tuttavia,  messo  in  discussione  in
occasione di successive pronunce della medesima Corte  di  cassazione
(ex pluris, Cassazione civ. sez. VI, 17  settembre  2013,  n.  21205;
Cassazione civ. sez. I, 20 febbraio 2012, n. 2400; Cassazione sez. I,
25 settembre 2015,  n.  19075).  In  particolare  la  Suprema  Corte,
nell'ordinanza n. 21205 della VI  Sezione  Civile  del  17  settembre
2013, ha ritenuto che «il novellato  art.  829  codice  di  procedura
civile, si applica, come indicato nel decreto legislativo n.  40  del
2006, art. 27, comma  4,  ai  procedimenti  arbitrali  nei  quali  la
domanda di arbitrato e stata proposta successivamente  alla  data  di
entrata  in  vigore  del  decreto,  a  nulla  rilevando,  secondo  il
chiarissimo  disposto  della  norma   transitoria,   il   riferimento
temporale relativo alla clausola compromissoria». 
    Alla medesima conclusione e'  giunta  la  Suprema  Corte  in  una
recente ordinanza, ove ha ritenuto che «la disciplina transitoria  e'
univoca nel preferire la legge vigente al tempo del lodo  rispetto  a
quella  diversa,  anteriore,  mentre  non  sono  ravvisabili  ragioni
superiori tali da  giustificare  una  diversa  interpretazione  della
norma cosi chiaramente formulata, tanto piu' che «l'intangibilita'» e
l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa  correlato  a
un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non
risulta assistito da alcuna garanzia costituzionale» (Cass.  sez.  I,
25 settembre 2015, n. 19075). 
    In sintesi, i giudici di legittimita', in epoca piu'  recente,  e
sino alle pronunce delle sezioni unite, di cui a breve si  dira',  si
sono conformati, in maniera pressoche' unanime,  alla  tesi  in  base
alla quale il chiaro dettato normativo di cui all'art.  27  comma,  4
del decreto legislativo n. 40/2006  non  lasci  all'interprete  alcun
margine di discrezionalita' nell'applicazione del  nuovo  regime.  Si
conseguenza deve applicarsi il nuovo regime agli  arbitrati  promossi
successivamente al 2006, anche se basati su  clausole  compromissorie
stipulate prima del 2006. 
    4.2 La giurisprudenza di merito 
    La  Corte  d'Appello  di  Milano,  dopo  alcuni  iniziali   dubbi
interpretativi e considerato il chiaro tenore letterale  della  norma
transitoria,  ha  ritenuto  nella  fase  piu'  recente   dl   doversi
conformare  alla  volonta'  del  legislatore  e  applicare  la  nuova
disciplina a tutti i procedimenti arbitrali promossi mediante domanda
d'arbitrato  dopo  il  2006,  indipendentemente   dal   tempo   della
sottoscrizione   della   clausola   arbitrale.   Tale    orientamento
maggioritario, che ha  trovato  conferma  in  numerose  sentenze,  ha
proposto   un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    del
combinato disposto di cui  agli  articoli  27  comma  4  del  decreto
legislativo n. 40/2006 e 829 comma 3 codice di procedura civile. 
    Nella sentenza n. 2377 del 2015 della Corte d'Appello di  Milano,
l'applicazione  del  nuovo  regime  e'  stata  motivata  considerando
l'impossibilita' di interpretazioni  alternative  (stante  l'evidenza
del tenore letterale della norma) e la  necessita'  di  garantire  il
rispetto  del  principio  processuale  del  tempus  regit  processum,
secondo il quale il processo civile e' regolato nella  sua  interezza
dal rito vigente al momento della proposizione  della  domanda.  Piu'
specificamente, si e' fatto notare che un'interpretazione  contraria,
come quella che verra' proposta successivamente dalle  sezioni  unite
(di  cui  fra  breve  si  dira'),  ha  una  valenza   sostanzialmente
abrogativa della norma transitoria (che se non regola i casi  in  cui
la  clausola  compromissoria  e'  pre2006  non  regola  nulla),   col
risultato finale di un'interpretazione contra legem. 
    A cio' si aggiunga  che  la  soluzione  interpretativa  a  favore
dell'applicabilita' del nuovo regime tutela l'affidamento delle parti
su un dato assetto processuale «le cui regole rispondono, di tempo in
tempo a superiori interessi pubblici e il cui mutamento non contrasta
con il principio di uguaglianza»; ne' in alcun modo appare fondata la
tesi per cui, in siffatte circostanze, le parti sarebbero costrette a
subire un mutamento della disciplina, ben potendo le stesse mutare il
contenuto della clausola e prevedere  espressamente  l'impugnabilita'
del lodo per violazione delle regole di diritto (Corte  d'Appello  di
Milano, sezione I, sent. n. 2377/2015). 
    Cosi' motivando, la Corte  d'Appello  di  Milano  ha  assunto  un
orientamento sostanzialmente unanime e  ha  rigettato  l'impugnazione
dei lodi arbitrali promossi  in  virtu'  di  clausole  compromissorie
stipulate ante riforma e il cui contenuto non fosse stato  modificato
a fronte del nuovo regime. 
    In altra sentenza la Corte d'appello di Milano ha cosi'  motivato
la legittimita' della norma transitoria: «a)  il  legislatore  si  e'
conformato puntualmente al principio codificato in generale dall'art.
5 codice di procedura civile ovvero del tempus  regit  processum;  b)
nessun vulnus viene inferto al principio di uguaglianza, vero essendo
che tutte le parti del processo arbitrale sono poste  nella  medesima
condizione: la intervenuta esclusione della impugnabilita'  del  lodo
per violazione delle regole di diritto riguarda sia l'impugnante  sia
la parte resistente, in un regime di perfetta parita';  [...]  e)  il
novellato art. 829 codice di  procedura  civile  se  raffrontato  col
testo previgente, non sembra aver determinato alcun rilevante deficit
di  tutela  del  cittadino  [...]  apparendo  la  nuova   disciplina,
conformemente   alla   delega   parlamentare   ricevuta,   volta    a
razionalizzare l'istituto dell'arbitrato,  rafforzando  ulteriormente
l'autonomia delle parti ed evitando il protrarsi  di  tutte  le  zone
d'ombra interpretative; g) il «potere di veto» che parrebbe per  tale
via  introdotto  compete  a  ciascuna  parte  alla   stessa   stregua
cosicche',  essendo  le  stesse  in  una  posizione  di  reciproca  e
paritaria autonomia, non si verifica alcuna «imposizione» unilaterale
e autoritativa; [...] i) appare del tutto ragionevole  l'intento  del
legislatore di evitare  che,  proprio  attraverso  il  sistema  delle
impugnative per nullita' dei lodi arbitrali,  si  possa  incrementare
quel contenzioso che l'arbitrato avrebbe dovuto, invece,  contribuire
a ridurre; k)  non  puo'  dirsi  violato  l'affidamento  riposto  dai
cittadini nella certezza dell'ordinamento giuridico, vero essendo che
non si e in  presenza  di  un  caso  di  legge  «retroattiva»  quanto
piuttosto di legge ad applicazione  immediata»  (Corte  d'Appello  di
Milano, n. 1943/2012). 
    La Corte d'Appello di Venezia, aderendo alla  medesima  soluzione
interpretativa, ha ritenuto che «la disciplina transitoria e' univoca
nel preferire la legge vigente al tempo del lodo  rispetto  a  quella
diversa, anteriore, mentre non  sono  ravvisabili  ragioni  superiori
tali da giustificare una diversa  interpretazione  della  norma  cosi
chiaramente  formulata,   tanto   piu'   che   «l'intangibilita'»   e
l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa correlato  ad
un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non
risulta assistito  da  alcuna  garanzia  costituzionale.  Una  simile
interpretazione e' l'unica idonea ad assicurare il pieno rispetto del
principio del tempus regit actum» (Corte  d'Appello  di  Venezia,  30
novembre 2015, n. 2722). 
    Siffatta  soluzione  interpretativa  ha   trovato   conferma   in
molteplici pronunce della Corte  costituzionale  che  ha  piu'  volte
ribadito che, lungi dal comportare un'applicazione retroattiva  della
nuova disciplina, la previsione  di  un  regime  transitorio  ad  hoc
assicura una applicazione immediata della nuova  disciplina  in  modo
conforme alla norma generale di cui all'art. 5  codice  di  procedura
civile, come si puo' leggere nell'ordinanza n. 11 del 2003: 
      «il principio dell'affidamento [...] non  puo'  in  alcun  modo
ritenersi leso dalle norme impugnate in quanto esse,  escludendo  dal
divieto di devoluzione ad arbitri le sole controversie per  le  quali
sia stata gia' notificata  la  domanda  di  arbitrato  alla  data  di
entrata in vigore del decreto-legge 11 giugno 1998,  n.  180  (Misure
urgenti per la prevenzione del  rischio  idrogeologico  ed  a  favore
delle zone colpite da disastri franosi nella regione  Campania),  non
attribuiscono al suddetto divieto alcuna efficacia retroattiva ma  al
contrario fanno puntuale applicazione della norma generale  enunciata
dall'art. 5 del codice di procedura civile a  tenore  del  quale  «la
giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla  legge
vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione
della domanda». 
5. - Le pronunce 2016 delle sezioni unite come fatto nuovo 
    A fronte di un contrasto  giurisprudenziale  che  interessava  la
stessa Corte di cassazione, la prima sezione della suprema  Corte  ha
investito le sezioni unite  al  fine  di  superare  l'incertezza  sui
possibili motivi di impugnazione (Cass, Civ, Sez.  I,  ordinanza  nn.
25039 e 25562 del 2015). 
    5.1.  Le  tre  sentenze  sezioni  unite  del  2016  e   la   loro
ispirazione. 
    Con tre sentenze gemelle (nn. 9341, 9284  e  9285  del  9  maggio
2016) le sezioni unite hanno composto il contrasto  sull'applicazione
temporale del mutato regime di impugnabilita' dei lodo per errori  di
diritto, riconoscendo l'impugnabilita' per errori di  diritto  quando
l'arbitrato sia reso dopo l'entrata in vigore della novella del 2006,
ma origini da una convenzione  anteriore  al  2006,  che  nulla  dica
sull'impugnabilita' per errori di diritto. 
    Le sezioni unite, pur prendendo atto  dell'inequivocabilita'  del
tenore  letterale  della  norma  transitoria,  ritengono   di   poter
escludere l'applicabilita' del riformato art. 829 comma 3  codice  di
procedura civile ai giudizi  arbitrali  promossi  dopo  il  2006,  ma
azionati in forza  di  clausole  compromissorie  stipulate  in  tempo
antecedente la riforma. 
    La  soluzione  data  dalle  sezioni  unite   e'   incentrata   su
un'interpretazione  letterale  dell'art.  829,  3  comma,  codice  di
procedura civile e, in particolare,  sul  concetto  di  «legge»,  che
dispone  espressamente  rimpugnazione  per  violazione  del   diritto
sostanziale (testualmente l'art. 829  comma  3  codice  di  procedura
civile cosi recita: «l'impugnazione per violazione  delle  regole  di
diritto  relative  al  merito  della  controversia  e'   ammessa   se
espressamente disposta dalle parti o dalla legge»). Le Sezioni  unite
s'interrogano, infatti, su quale sia la «legge»  cui  fa  riferimento
testo  riformato,  ai   sensi   della   quale   sarebbe   ammissibile
l'impugnazione per violazione  di  norme  di  diritto  sostanziale  e
giungono alla conclusione che tale legge deve  essere  caratterizzata
dai seguenti requisiti (pagg. 8-9 delle sentenze delle Sezioni unite,
poc'anzi indicate): 
      deve essere una disposizione di legge diversa  dal  nuovo  art.
829, comma 3 c.p.c. 
      deve  essere  una  legge  che  disciplini  la  convenzione   di
arbitrato, in cui sono stabiliti  i  limiti  dell'impugnabilita'  del
lodo; 
      deve essere una legge vigente al momento  della  stipula  della
convenzione di arbitrato, perche' «solo  la  legge  vigente  in  quel
momento [...] puo' ascrivere al silenzio delle parti  un  significato
normativamente predeterminato». 
    Orbene,  ad  avviso  delle  Sezioni  unite,  la  legge   cui   fa
riferimento l'art. 829 comma 3  c.p.c.,  idonea  a  escludere  limiti
d'impugnabilita' del lodo,  e',  esclusivamente,  quella  vigente  al
momento della stipulazione della convenzione  d'arbitrato.  Solo  una
simile soluzione consentirebbe di attribuire al silenzio delle parti,
comportamento  di  per  se'  neutro,  il   significato   voluto   dai
contraenti. In altri termini, la  neutralita'  del  silenzio  obbliga
l'interprete a tener conto del contesto normativo in cui lo stesso si
sia formato, in quanto,  solo  un  simile  approccio  interpretativo,
consente di attribuire al  silenzio  un  «significato  normativamente
predeterminato» (pag. 9 sentenze Corte di cassazione a Sezioni unite)
rispettoso della volonta' delle parti contraenti. 
    Conformemente alla tesi sostenuta dalle Sezioni unite,  ammettere
l'applicazione del riformato art.  829  comma  3  c.p.c.  anche  alle
convenzioni  stipulate  prima   della   stia   entrata   in   vigore,
significherebbe modificare la portata del silenzio tenuto dalle parti
nella stipulazione della convenzione, attribuendogli  un  significato
diverso rispetto a quello  preesistente  e  conosciuto  dalle  parti.
Pertanto, il significato del silenzio delle parti  al  momento  della
stipulazione della clausola arbitrale  deve  essere  stabilito  sulla
base della legge vigente al momento in cui essa e' avvenuta, a  nulla
rilevando la modifica sopravvenuta della  disciplina  in  materia  di
arbitrato. 
    Ne' tantomeno, proseguono le Sezioni  unite,  e'  in  alcun  modo
meritevole di accoglimento la tesi in forza  della  quale  le  parti,
consapevoli del sopravvenuto mutamente legislativo, possono rinnovare
la convenzione, prevedendo la  libera  impugnabilita'  del  lodo  per
violazione  delle  regole  di  diritto  relative  al   merito   della
controversia.   Si   tratterebbe   di   una   soluzione    pressoche'
irrealizzabile,  «perche'  la  conclusione  della  nuova  convenzione
richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti,  anche  di  quelli
eventualmente interessati al  mantenimento  del  vincolo  precedente»
(pag. 10 delle sentenze della Corte di cassazione a Sezioni unite). 
    In definitiva, nell'interpretazione delle Sezioni unite il regime
normativo cui far riferimento per l'impugnabilita' del lodo nel  caso
di  errores  in  judicando,  derivante  da  un   giudizio   arbitrale
disciplinato da una convenzione d'arbitrato antecedente  al  2  marzo
2006, e' quello previsto dal vecchio art. 829, comma 2  c.p.c.  Sulla
base di queste argomentazioni (qui succintamente riportate), la Corte
ha accolto il ricorso e formulato il seguente principio  di  diritto:
«in applicazione della disciplina transitoria  dettata  dall'art.  27
decreto legislativo n. 40 del 2006, l'art. 829, comma 3 c.p.c.,  come
riformulato dall'art. 24 decreto  legislativo  n.  40  del  2006,  si
applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in  vigore  del
suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829, comma 3  c.p.c.
rinvia, per stabilire se e' permessa  l'impugnazione  per  violazione
delle regole di diritto relative al  merito  della  controversia,  e'
quella  vigente  al  momento  della  stipulazione  della  convenzione
d'arbitrato». 
    Dunque, se la convenzione e' anteriore all'entrata in vigore  del
decreto legislativo n. 40/2006, e le parti nulla  hanno  previsto  in
essa, il lodo sara' impugnabile per violazione di regole  di  diritto
sostanziale relative al merito della controversia, anche nel caso  in
cui il procedimento sia instaurato dopo il 2 marzo 2006. 
    5.2. Il valore giuridico delle pronunce a Sezioni unite  dopo  la
riforma dell'art. 374 c.p.c. e la loro vincolativita'. 
    Posto  il  contenuto  delle  decisioni  delle  Sezioni  unite   e
considerato l'orientamento opposto consolidatosi presso questa  Corte
d'appello,  non  e'   irrilevante   la   questione   del   grado   di
vincolativita'  che  oggi  assume  una  pronuncia  della   Corte   di
cassazione a Sezioni unite (quali sono le decisioni in questione) per
un giudice di merito, quale questa Corte e'. 
    La riforma del comma  3  dell'art.  374  c.p.c.  (introdotta  dal
decreto legislativo n. 40/2006 - lo stesso che  ha  modificato  anche
l'art. 829 c.p.c. ma senza alcuna diretta connessione) ha  ridefinito
rapporto tra le Sezioni semplici e le  Sezioni  unite  della  Suprema
Corte, rafforzando notevolmente la funzione di  garanzia  che  queste
ultime hanno sull'uniforme interpretazione della  legge.  Invero,  in
un'ottica di valorizzazione della funzione nomofilattica della  Corte
di cassazione, la novella ha introdotto il nuovo principio  giuridico
per le  Sezioni  semplici  della  vincolativita'  del  decisum  delle
Sezioni unite della Suprema Corte,  stabilendo  che  «se  la  Sezione
semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato
dalle Sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata,
la decisione del ricorso». 
    Quindi, mentre nella disciplina previgente  le  Sezioni  semplici
potevano pronunciarsi in modo difforme  in  ordine  ad  una  quaestio
iuris gia' decisa dalle Sezioni unite, oggi una Sezione semplice  non
puo' decidere in modo difforme dalle Sezioni unite e, qualora non  ne
condivida l'orientamento, e' tenuta a reinvestire queste  ultime  con
ordinanza motivata. La Novella ha il chiaro obiettivo di  ridurre  le
oscillazioni che talvolta si riscontrano fra le diverse sentenze e di
favorire il dispiegamento della funzione nomofilattica della Corte. 
    Il  nuovo  assetto  introdotto  dal  legislatore  in  seno   alla
Cassazione ha effetti  sull'intero  sistema  giudiziario  e,  quindi,
anche sui giudici di merito  che  sanno  in  anticipo  che  una  loro
eventuale decisione in difformita' dalle  Sezioni  unite  non  potra'
essere accolta se non dopo aver  subito  il  vaglio  di  una  Sezione
semplice che intenda risollecitare le Sezioni unite. 
    Si tratta, invero, di una norma posta a presidio  della  funzione
nomofilattica riconosciuta in capo alla Corte  di  Cassazione  e  che
introduce  una  vera   e   propria   «procedimentalizzazione»   della
nomofilachia, che non necessariamente comporta un  irrigidimento  del
sistema. 
    Tale norma non opera anche nei confronti del giudice  di  merito,
il quale, formalmente, non e' costretto a uniformarsi al principio di
diritto enunciato dalle Sezioni unite. E' anche vero,  tuttavia,  che
una sua pronuncia difforme  rispetto  al  principio  enunciato  dalle
Sezioni unite della Corte  cassazione  non  potrebbe  essere  accolta
direttamente  da  una  Sezione  semplice.  Comporterebbe  invece  due
diversi possibili esiti: 
      1) la Sezione semplice, condividendo il  principio  di  diritto
enunciato dalle Sezioni unite, respinge la  soluzione  interpretativa
proposta dal giudice  di  merito,  cassando  la  sentenza  da  questi
emessa. 
      2) la Sezione semplice, ritenendo vi siano nuove argomentazioni
in grado di mettere in discussione la fondatezza  e  la  razionalita'
della soluzione interpretativa adottata da una  decisione  a  Sezioni
unite, puo' sollecitare nuovamente le Sezioni  unite.  Questo  metodo
procedurale consente il raggiungimento di una  piena  intesa  tra  le
Corti  finalizzata  a  ottenere  la  massima  garanzia  dei   diritti
fondamentali. 
    5.3. Le pronunce a Sezioni unite come diritto vivente secondo  la
giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Oltre a prestare la massima  considerazione  alla  vincolativita'
che intrinsecamente portano le  decisioni  delle  Sezioni  unite  nei
termini appena esposti, questa Corte e'  altrettanto  attenta  a  non
trascurare il rilievo che  la  Corte  costituzionale  attribuisce  al
«diritto vivente», nell'esplicazione  del  proprio  potere-dovere  di
procedere alla ricognizione  degli  indirizzi  espressi  dal  giudice
della nomofilachia. 
    Per  la  Corte  costituzionale  sono  molteplici  e  diverse   le
condizioni  affinche'  un  enunciato  interpretativo   possa   essere
considerato  idoneo  a   rappresentare   un   consolidato   indirizzo
giurisprudenziale, tale da poterlo ritenere espressivo di un «diritto
vivente». Sono stati ritenuti indici  di  «diritto  vivente»  (a)  il
carattere  di  stabilita'  di  un  dato  indirizzo  della  Corte   di
Cassazione; (b) il carattere di costanza e ripetizione;  (c)  o,  per
quanto concerne il profilo quantitativo,  quando  le  pronunce  della
Corte di cassazione che hanno accolto una data  interpretazione  sono
numerose e distribuite nell'arco di un  lungo  periodo,  valorizzando
«il numero elevato, la  sostanziale  identita'  di  contenuto  [delle
medesime]  e  la  funzione   nomofilattica   dell'organo   decidente»
(Sentenza 14 marzo 2008, n. 64). 
    Non sembrano esservi incertezze nel ritenere  l'esistenza  di  un
«diritto vivente» in presenza di  pronunce  delle  Sezioni  unite.  A
questo scopo e' stata giudicata sufficiente anche una sola  decisione
delle Sezioni unite, sopravvenuto «in presenza di un orientamento non
univoco», enfatizzando che con esso «le Sezioni  unite  civili  della
Corte di cassazione  hanno  ritenuto,  nell'esercizio  della  propria
funzione nomofilattica, di cui questa Corte  deve  tenere  conto,  di
superare [...] il contrasto», costituendo  «siffatta  interpretazione
[...] diritto vivente, del quale si deve accertare la  compatibilita'
con  i  parametri   costituzionali»   (in   questi   termini,   Corte
costituzionale 22 dicembre 2011, n. 338). 
    In una sentenza del 1997 la Corte  costituzionale  ha  affrontato
esplicitamente la situazione in cui viene a trovarsi  il  giudice  di
merito di fronte al diritto vivente: «Pur essendo  indubbio  che  nel
vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di  merito  di
conformarsi agli orientamenti della Corte di  cassazione  (salvo  che
nel giudizio di  rinvio),  e'  altrettanto  vero  che  quando  questi
orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza  -  al
punto da  acquisire  i  connotati  del  "diritto  vivente"  - e'  ben
possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita'
e  dai  giudici  di  merito,  venga   sottoposta   a   scrutinio   di
costituzionalita', poiche' la norma vive  ormai  nell'ordinamento  in
modo cosi' radicato che e' difficilmente  ipotizzabile  una  modifica
dei sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte.  In
altre parole, in presenza di un diritto  vivente  non  condiviso  dal
giudice a quo perche ritenuto costituzionalmente illegittimo,  questi
ha la facolta' di optare tra l'adozione, sempre  consentita,  di  una
diversa interpretazione [ma, si badi bene la pronuncia e'  precedente
alla modifica dell'art. 374 c.p.c., ndr],  oppure  -  adeguandosi  al
diritto vivente - la proposizione della questione  davanti  a  questa
Corte (Corte costituzionale n. 350/1997). 
    Va inoltre,  e  sotto  diverso  profilo,  rilevato  che,  con  il
riconoscimento del  «diritto  vivente»  la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto di porre limite alla sua stessa  potesta'  reinterpretativa,
astenendosi   dal   fornire   una   propria   interpretazione   della
disposizione   censurata,   qualora    una    stabile    elaborazione
giurisprudenziale abbia  identificato  ed  enunciato  il  significato
normativa   da   attribuirle.   In   definitiva,   in   presenza   di
un'interpretazione stabilizzata e  consolidata  fornita  dal  giudice
della nomofilachia, la Corte puo' e deve esclusivamente procedere  ad
«accertar[ne]  la  compatibilita'  con  i  parametri   costituzionali
evocati»  dal  rimettente  (sentenza  338/2011).   Questa   soluzione
risponde a un'esigenza di rispetto del ruolo dei giudici comuni  -  e
segnatamente all'organo giudiziario  depositario  della  funzione  di
nomofilachia - nell'attivita' interpretativa. La Corte costituzionale
ha, in plurime occasioni, ritenuto che «in presenza di  un  indirizzo
giurisprudenziale costante o, comunque, ampiamente condiviso - specie
se consacrato in una decisione delle Sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione - la Corte costituzionale assume la disposizione censurata
nel significato in  cui  essa  attualmente  'vive'  nell'applicazione
giudiziale» (Corte costituzionale, sentenza 12 ottobre 2012  n.  230;
in senso conforme ordinanza del 30 luglio 1997, n. 297). 
    Sul problema sul quale  questa  Corte  d'appello  e'  chiamata  a
decidere, la Corte di Cassazione si e' espressa per ben tre  volte  a
Sezioni unite componendo quel contrasto  interpretativo  che  si  era
verificato  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  (e  di   merito)
sull'applicazione temporale del mutato  regime  d'impugnabilita'  del
lodo per errori di  diritto.  Questa  interpretazione  delle  Sezioni
unite sembra  avere  i  requisiti  per  essere  qualificata  «diritto
vivente» nei termini sopra esposti e, quindi, puo' essere  sottoposta
al vaglio  della  Corte  costituzionale,  perche'  sia  eventualmente
dichiarata  incostituzionale  la  disposizione  nella  sua   costante
interpretazione giurisprudenziale. 
6. - L'alternativa che si offre alla Corte d'appello dopo le pronunce
delle Sezioni unite. 
    Definito il quadro legislativo e  giurisprudenziale  come  sopra,
questa  Corte  si  trova  di  fronte   all'alternativa   se   seguire
l'orientamento delle  Sezioni  unite,  ma  violare  la  Costituzione,
oppure seguire la propria giurisprudenza basata su un'interpretazione
costituzionalmente orientata, ma decidere  in  senso  contrario  alle
Sezioni unite. Qui di seguito vengono illustrati i  termini  di  tale
alternativa. 
    6.1. Seguire le Sezioni unite, ma violare la costituzione. 
    I motivi in base  ai  quali  seguire  l'interpretazione  proposta
dalle Sezioni unite comporterebbe una violazione  della  Costituzione
vengono  esposti  nel   paragrafo   relativo   alla   non   manifesta
infondatezza (7.2 Non manifesta infondatezza e norme  violate:  artt.
3, 24 e 101 cost.) al quale si rinvia. 
    6.2.   Seguire   la   propria   giurisprudenza   conforme    alla
costituzione, ma contraria alle Sezioni unite.  
    Vi e' certo la possibilita' materiale che questa Corte disattenda
le Sezioni unite e continui a  decidere  nel  senso  della  immediata
applicabilita' delle nuove norme,  secondo  quanto  prescritto  dalla
norma transitoria ad hoc (per  motivi  sinteticamente  riportati  nel
par. 4.2.). 
    Tuttavia questa Corte ritiene che una  tale  strada  non  sia  in
realta' percorribile. 
    In primo luogo, vi sono motivi di correttezza  istituzionale  che
sconsigliano di ignorare tali autorevoli pronunce: le sentenze  delle
Sezioni  unite  devono  essere  prese  sul   serio,   altrimenti   ne
risulterebbe lesa la credibilita' complessiva del sistema, Cassazione
e giudici di merito compresi. 
    In secondo luogo, vi e' l'ostacolo  giuridico  del  nuovo  regime
dell'art. 374 del codice di procedura civile e dei suoi  effetti  sul
sistema nel suo complesso (vedi sopra par. 5.2). 
    In terzo luogo, le sentenze Sezioni unite di cui sopra si ritiene
che abbiano i requisiti per  essere  qualificate  «diritto  vivente»,
come tale non suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il
sindacato di costituzionalita' (vedi sopra par. 5.3.). 
    Ed e' per questi motivi  che  con  la  presente  ordinanza  viene
sollevata la questione di costituzionalita', nei termini che  vengono
precisati qui di seguito. 
7.  -  Esistenza  dei  presupposti  per  la  rimessione  alla   Corte
costituzionale. 
    La norma  che  questa  Corte  sospetta  d'incostituzionalita'  e'
quella di cui al  combinato  disposto  dei  seguenti  articoli,  come
interpretati dal «diritto vivente» costituito  dalle  sentenze  della
Corte di cassazione, Sezioni unite, e in particolare: 
      -  art.   829,   comma   3,   codice   di   procedura   civile:
«L'impugnazione per violazione delle regole di  diritto  relative  al
merito della controversia e' ammessa se espressamente disposta  dalle
parti o dalla legge»; 
      - norma transitoria di cui al comma 4 dell'art. 27 del  decreto
legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli  articoli  21,  22,
23, 24 e 25 si applicano ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la
domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto»; 
    entrambe come interpretate dal «diritto vivente» costituito dalle
sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, nn. 9341,  9284  e
9285 del 9 maggio 2016. 
    7.1 Rilevanza. 
    E' evidente, nel caso di specie, la rilevanza della questione  ai
fini del decidere, dato che il sindacato di merito  che  spetta  alla
Corte d'appello, perche' venga valutata la fondatezza  o  meno  delle
domande di parte impugnante, non puo' prescindere  dalla  preliminare
valutazione sull'ammissibilita' o meno dell'impugnazione: 
      Difatti, nel caso in cui  si  dovesse  ritenere  immediatamente
applicabile il nuovo regime, cosi' come stabilito dal novellato  art.
829 comma 3 del codice di procedura civile, l'impugnazione  del  lodo
arbitrale proposta da Ferri sarebbe  da  considerarsi  inammissibile,
poiche' non prevista espressamente dalla clausola compromissoria,  la
quale, letteralmente, cosi dispone: «Il presente contratto normativo,
come pure  tutti  i  contratti  specifici  posti  in  essere  in  sua
applicazione,  sono  retti  dalla  legge  italiana.   Ogni   disputa,
contestazione o controversia fra  le  parti  derivante  dal  presente
contratto normativo o  da  ciascun  contratto  specifico,  oppure  ai
medesimi inerente, verra' deferita a un collegio di  tre  arbitri  il
quale giudichera' in via rituale, procedendo ai sensi degli  articoli
816 e seguenti del codice di procedura civile. La parte  che  intende
promuovere il giudizio arbitrale dovra' comunicarlo  all'altra  parte
mediante   lettera   raccomandata    contenente    l'oggetto    della
controversia, le proprie richieste,  l'invito  alla  procedura  e  la
designazione del proprio arbitro. Qualora l'altra parte, entro  venti
giorni dalla ricezione della predetta comunicazione, non proceda  con
le stesse formalita' alla designazione  del  proprio  arbitro  oppure
qualora, entro venti giorni dalla designazione del secondo arbitro, i
due arbitri designati non avessero  scelto  il  terzo  arbitro,  alla
nomina dell'arbitro o degli  arbitri  non  designati  procedera',  su
istanza della parte  interessata,  il  presidente  del  Tribunale  di
Milano. In ogni caso, il collegio arbitrale giudichera' con  sede  in
Milano anche in merito  all'entita'  e  all'accollo  delle  spese  di
giudizio,  nonche'   alla   fissazione   dell'ammontare   dei   danni
conseguenti alta violazione del contratto.». 
    Diversamente, nel caso in cui si  dovesse  applicare  il  diritto
vivente come scaturente dalle sentenze delle Sezioni unite del maggio
2016,  la  Corte  d'appello,  essendo  stata  stipulata  la  clausola
compromissoria in un momento  antecedente  l'entrata  in  vigore  del
decreto  legislativo  n.  40/2006,  dovrebbe  rigettare   l'eccezione
d'inammissibilita' proposta da Unicredit S.p.a. e procedere all'esame
dell'impugnazione per violazione di  norme  di  diritto  relative  al
merito della controversia. 
    Non   sono   ravvisabili   vie   diverse   e   tutte    dipendono
dall'interpretazione della norma transitoria sopra citata. 
    Per completezza si fa notare che la rilevanza della questione nel
caso di specie e' concreta ed effettiva e non «meramente ipotetica  e
virtuale» (Corte costituzionale sentenza n. 281/2013) e  presenta  un
carattere di pregiudizialita' rispetto all'esame delle  questioni  di
nullita' del lodo. 
    7.2 Non manifesta infondatezza e norme violate: artticoli 3, 24 e
101 Costituzione. 
    La non manifesta infondatezza si  fonda  sui  seguenti  punti  di
contrasto tra la norma oggetto della presente rimessione e  le  norme
costituzionali: 
      1. Art. 3 - Violazione del principio  d'uguaglianza.  La  norma
che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola il principio
d'uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, in quanto comporta  una
disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe che
il legislatore del 2006 ha, invece, volutamente  posto  sullo  stesso
piano: la situazione di tutti coloro i quali promuovono un  arbitrato
dopo il 2006. In tal modo, la Corte di cassazione applica due  regimi
normativi    diversi    a    situazioni    analoghe,     determinando
un'irragionevole  disparita',  in  termini   di   norme   processuali
applicabili,  tra  coloro  i  quali  hanno  proposto  la  domanda  di
arbitrato  dopo  il  2006,  per  il  solo  fatto  che   la   clausola
compromissoria era stata stipulata in momenti diversi. 
    Una simile soluzione interpretativa  si  pone,  tra  l'altro,  in
contrasto con un consolidato orientamento della Corte costituzionale,
la quale, in plurime occasioni, ha sottolineato che  «il  fluire  del
tempo - il quale costituisce di per se' un  elemento  diversificatore
che consente di trattare in modo differenziato le stesse categorie di
soggetti, atteso che la demarcazione temporale consegue come  effetto
naturale alla generalita' delle leggi - non comporta, di per se', una
lesione del principio di parita' di trattamento [e pertanto, ndr]  lo
scorrere del tempo e la collocazione  in  esso  dei  fatti  giuridici
possono legittimare una  diversa  modulazione  dei  rapporti  che  ne
scaturiscono»   (Corte   costituzionale   ordinanza    n.    77/2008;
conformemente  si  segnalano:  sentenza  n.  409/1998,  sentenza   n.
342/2006, sentenza 94/2009, sentenza 376/2001, ordinanza n. 401/2008,
ordinanza n. 224/2011), In conclusione, il fluire  del  tempo  e,  di
conseguenza, uno ius superveniens volto a  incidere  direttamente  su
rapporti giuridici preesistenti non  contrastano,  di  per  se',  col
principio di uguaglianza. 
      2. Violazione  del  principio  del  tempus  regit  processum  e
dell'art.   3   della   Costituzione.   La   norma   che   scaturisce
dall'intervento delle Sezioni unite viola il principio  tempus  regit
processum  e  il  principio  di  uguaglianza  in   quanto   pone   in
comparazione  entita'  di  natura  giuridica  diversa,  la   clausola
compromissoria (di natura sostanziale) e l'atto di  impugnazione  del
lodo (atto processuale). 
    Non pare condivisibile la tesi secondo  la  quale  l'applicazione
del nuovo regime anche  ai  procedimenti  arbitrali  fondati  su  una
clausola compromissoria stipulata prima del  2006  comporterebbe  una
violazione  del  principio  del  tempus  regit  actum.   Una   simile
argomentazione non tiene conto di quella che e' la natura della nuova
disciplina introdotta, Si tratta, invero, di una  normativa  volta  a
incidere, esclusivamente, sul piano processuale,  sul  momento  della
proposizione dell'impugnazione del  lodo  arbitrale.  E'  necessario,
infatti, che i termini della comparazione, ai fini della  valutazione
alla luce dell'art. 3 Costituzione, siano omogenei. Non puo' pertanto
effettuarsi una commistione tra due dimensioni giuridiche diverse  e,
per tale ragione, sottoposte a regimi  normativi  differenti:  da  un
lato, la clausola compromissoria e' un negozio  autonomo,  di  natura
normativa  e  sostanziale;  dall'altro,  l'impugnazione  di  un  lodo
arbitrale e', a tutti gli effetti, un atto di natura  processuale  e,
di  conseguenza,   sottoposto   alla   legge   vigente   al   momento
dell'impugnazione del lodo. 
    La disciplina del 2006 e' intervenuta  esclusivamente  sul  piano
processuale, non incidendo  in  alcun  modo  sulla  validita'  e  sul
contenuto della clausola compromissoria, che e'  e  resta  totalmente
rimessa nel suo contenuto all'autonomia contrattuale delle parti. 
    Infine, l'applicazione del  regime  del  2006  non  comporta  una
violazione  dell'affidamento  dei  contraenti  in  merito  al  regime
processuale  applicabile.  In  realta',  la   nuova   disciplina   ha
assicurato il pieno rispetto del principio della certezza del diritto
e, di conseguenza, dell'affidamento dei contraenti. Quest'ultimo  non
puo' che venire in rilievo al momento dell'impugnazione del  lodo,  e
non certo quando le parti stipulano la  clausola  compromissoria:  si
tratta, infatti, di un affidamento rispetto a un  rapporto  giuridico
in fieri, i cui contorni verranno definitivamente stabiliti  solo  al
momento della proposizione della domanda  di  arbitrato  o,  rectius,
d'impugnazione del lodo. 
      3.   Art.   41   Costituzione:   la   norma   che    scaturisce
dall'intervento delle Sezioni unite e in  contrasto  con  l'autonomia
contrattuale delle parti e con l'art. 41 Costituzione. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola
il principio dell'autonomia privata e della liberta' contrattuale dei
contraenti di cui all'art. 41 Costituzione. 
    Secondo la Sezioni unite n. 9585/2016 la nuova  normativa  limita
considerevolmente l'autonomia contrattuale delle  parti  e  viola  la
volonta'  contrattuale  «ascrivendo  ai  silenzio  delle   parti   un
significato convenzionale che le vincoli per  il  futuro  in  termini
diversi da quelli definiti  dalla  legge  vigente  al  momento  della
conclusione del contratto» (Cassazione Sezioni unite  n.  9585/2016).
In realta', come meglio si dira',  e'  proprio  la  non  applicazione
immediata del nuovo regime a limitare  considerevolmente  l'autonomia
delle parti fondata sull'art. 41 Costituzione. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite e' in
contrasto con la logica del legislatore del 2006 e la  natura  stessa
dell'istituto dell'arbitrato, il quale si caratterizza per essere uno
strumento di risoluzione alternativa delle controversie,  fondato  su
un  atto  negoziale,  espressione  della  piu'  ampia  manifestazione
dell'autonomia contrattuale.  Con  la  Riforma  del  2006,  e'  stato
ridotto (salvo  diversa  volonta')  novero  delle  possibili  censure
formulabili al lodo e cosi' si e' valorizzato il ruolo degli  arbitri
all'interno dell'ordinamento, assimilando sempre piu', di  fatto,  la
decisione  arbitrale  a  una  pronuncia  dell'autorita'   giudiziaria
ordinaria.  Di  conseguenza,  il  nuovo  regime   e   la   disciplina
transitoria in esso contenuta, diversamente da quanto ritenuto  dalle
Sezioni unite, hanno comportato una considerevole valorizzazione  del
ruolo   dell'autonomia   contrattuale,   dando   ai   contraenti   la
possibilita' di modificare contenuto della clausola compromissoria  e
prevedere espressamente un regime d'impugnazione ad hoc. 
    Ne' valgono, a tal proposito, le argomentazioni secondo le  quali
mutamento della disciplina comporta un disequilibrio di poteri tra le
parti nel caso in cui uno solo dei contraenti volesse rinegoziare  il
contenuto della clausola in prospettiva  di  una  futura  vertenza  e
l'altro vi si opponga. In realta', una simile  circostanza  (peraltro
del tutto astratta, perche' prima  della  controversia  e  del  lodo,
nessuno puo' sapere se puo' essere conveniente un regime  processuale
di maggiore o minore ampiezza della possibile impugnazione) altro non
e' che una manifestazione dell'autonomia contrattuale, che il  nostro
ordinamento riconosce alle parti, nella  sua  pienezza  e  totalita',
nella fase di determinazione del contenuto del contratto. 
    Una  simile  situazione  d'incertezza   tra   i   contraenti   e'
coessenziale alla natura stessa della clausola compromissoria che, in
quanto negozio normativo, detta una disciplina pro futuro,  potendosi
attivare solo ed esclusivamente col sorgere di possibili vertenze tra
le parti. Pertanto, stante l'impossibilita' di sapere in anticipo  se
un lodo sara' impugnato o meno, va da se' che,  essendo  la  clausola
finalizzata a incidere su rapporti  giuridici  futuri,  i  contraenti
siano esposti alla  possibile  sopravvenienza  di  una  modifica  del
regime del processo. 
    In  sintesi,  si  puo'  dire  che,  se  si  assume  come  cardine
dell'arbitrato la volonta' delle parti, la modifica  legislativa  del
2006 rende possibili diverse soluzioni tra le quali si  segnalano  le
seguenti: a) le parti rinegoziano la clausola compromissoria;  b)  le
parti non rinegoziano la clausola accettando implicitamente il  nuovo
regime delle impugnazioni  dei  lodi  post  2006;  c)  le  parti  non
rinegoziano la clausola,  ma  si  accordano,  prima  di  attivare  un
arbitrato e con distinta specifica contrattazione, sul fatto che quel
solo lodo possa essere eventualmente impugnato anche  per  violazione
di regole di diritto, immutata  la  clausola  compromissoria  per  le
future eventuali altre controversie. 
    In tutti i casi la liberta' negoziale delle parti era  assicurata
maggiormente dal regime transitorio previsto  dalla  legge  del  2006
piuttosto  che  dalla  norma  che  scaturisce  dall'intervento  delle
Sezioni Unite. 
      4. Art. 24 Cost. la norma che scaturisce dall'intervento  delle
Sezioni Unite non e' necessaria per porre rimedio a  una  menomazione
del diritto di difesa, per avere il regime  del  2006  precluso  alle
parti la facolta' di esercitare il diritto di difesa e di azione. 
    Alla  luce  della  giurisprudenza  della   Corte   Costituzionale
sull'art.  24,  e  dei  principi  cardine  del  nostro   ordinamento,
l'inviolabilita' del diritto di difesa,  e  posta  a  presidio  della
necessita'  di  "assicurare  a  tutti   e   sempre,   per   qualsiasi
controversia, un giudice e un  giudizio"  (si  veda,  tra  tutte,  la
sentenza n. 18/1992). 
    La nuova disciplina non ha comportato alcun rilevante deficit  di
tutela del cittadino rispetto alla possibilita' di sottoporre il lodo
al controllo giurisdizionale dell'autorita' giudiziaria,  nei  limiti
in cui l' autonomia contrattuale delle parti ha deciso di confermare,
per inerzia, o modificare il contenuto della clausola compromissoria.
In piu', la nuova disciplina e' perfettamente  conforme  alla  delega
parlamentare (L. Delega n.  80/2005),  volta  alla  razionalizzazione
dell'istituto dell'arbitrato (di cui si e' gia'  detto  sopra)  e  la
valorizzazione della volonta' delle parti circa il regime del lodo  e
della sua impugnazione. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni Unite e' in
contrasto con l'art. 11 delle Preleggi e  conseguentemente  viola  la
disposizione di cui all'art. 12 delle Preleggi. 
    Sulla base delle argomentazioni sinora svolte e, in  particolare,
considerata la natura sostanziale e non  processuale  della  clausola
arbitrale, non appaiono condivisibili le argomentazioni delle Sezioni
Unite in base alle  quali  il  Legislatore  avrebbe  illegittimamente
applicato retroattivamente la nuova disciplina. 
    Cosi' come piu' volte  ribadito  in  circostanze  analoghe  dalla
Corte Costituzionale, in ipotesi del genere si e' in presenza non  di
una legge retroattiva ma  piuttosto  di  una  legge  ad  applicazione
immediata (vedi sopra par 4.2.). In  definitiva,  la  disciplina  non
incide sulla clausola compromissoria  e,  pertanto,  non  puo'  dirsi
applicata   retroattivamente   in   quanto   regola    esclusivamente
l'impugnazione di un lodo promosso successivamente alla  sua  entrata
in vigore.